Soundtrack: Un Atomo Opaco di Male.mp3
Ho
sempre amato la città della tarda notte, le strade silenziose
e solitarie, i locali vuoti, il silenzio. Adoro la città
di notte soprattutto perché non c’è tanta
gente. Odio la gente, in particolare quando è tanta,
per esempio la domenica pomeriggio nei centri commerciali o
in centro; odio sentire il loro odore da deodorante e dopobarba,
odio i loro abiti tutti uguali, odio i loro discorsi sempre
banali. Odio la gente. Mentre guido la macchina lungo la via
deserta, illuminata dalle insegne lampeggianti dei locali ancora
aperti, immagino di essere il solo uomo sulla terra e l’idea
non mi dispiace affatto. Ascolto Miles Davis in cassetta, ascolto
sempre Jazz durante le sere di lavoro, si adatta perfettamente
alla notte solitaria. La sua tromba mi culla dolcemente lungo
la strada, facendomi sentire solo. Lavoro solo di notte e sono
sempre solo: faccio il killer, uccido a pagamento. Non ho un
codice etico o una regola morale fissa come altri miei colleghi;
se per qualche motivo non voglio premere il grilletto, anche
se sono pagato per farlo, non lo premo. Adesso posso permettermelo,
perché sono un professionista, mi sono fatto un nome
e in questo ambito è molto importante il nome. Nessuno
dei miei mandanti mi conosce né mi ha mai visto, uso
sempre intermediari fidati. Una volta però non era così,
ho ucciso anche persone che non lo meritavano: così va
il mondo. Sono convinto che la maggior parte di persone che
conosco o vedo per strada meritino di morire; anch’io
penso di meritarlo, dal momento che sono quello che la società
definisce un cattivo, ma chi non lo è? Di notte sono
un killer ma di giorno sono un borghese scapolo benestante,
con la mia auto media, la mia casa media, la mia vita media.
Tutte le mattine alle dieci e mezza faccio footing e esercizi
ginnici; incontro i vicini di casa uscendo e li saluto cordialmente,
chissà quanti di loro la notte fanno cose terribili,
forse anche peggiori del sottoscritto. Il mio lavoro ha a che
fare con la parte marcia delle persone che spesso sono le più
“brave” e rispettabili della società; ho
conosciuto gente negli ambienti malavitosi più malfamati
che meritavano di morire molto meno di stimati avvocati o benefattori
della società. Partendo dal concetto che la stragrande
maggioranza di persone merita di morire, c’è chi
lo merita più di altri; io non mi sento certo un giustiziere
o roba del genere, io uccido per vivere e forse sono tra i peggiori
bastardi che merita più di molti altri di morire, semplicemente
penso di non fare un gran torto a nessuno, il mio è solo
un lavoro come un altro. Questa notte ho scelto una golf nera:
ogni notte di lavoro faccio un giro per i quartieri malfamati
di questa città, cerco una macchina di qualche delinquente
del cazzo, gliela rubo e faccio quello che devo. In questo modo
anche se qualcuno vede una macchina allontanarsi dal luogo del
delitto si risale sempre a tagliagole da strapazzo, con una
fedina penale di chilometri e non si esita a sbatterli in gabbia
e a buttare la chiave. Non mi sono mai esposto troppo, rischio
sempre il minimo necessario e, per questo, non ho mai avuto
problemi con gli sbirri; nel mio lavoro però non si vive
solo di abilità si campa anche e soprattutto grazie alla
fortuna e io ne ho sempre avuta tanta. E’ come se il mio
ruolo nell’ordine naturale sia quello del predatore, ho
sempre avuto questa impressione, fin da piccolo. A scuola andavo
bene, me la cavavo soprattutto in matematica, scienze, fisica
ecc... Tutti mi dicevano che sarei diventato qualcuno nella
vita, che so: un grande scienziato, un medico, un chirurgo...
E altre cazzate. A me non è mai fregato niente, solo
una cosa avevo in mente: la morte. Mia madre era morta mettendomi
al mondo, fu la mia prima vittima; mi convinsi all’età
di undici anni che meritava di morire, non sapevo perché,
ma doveva per forza meritarlo, altrimenti perché l’avevo
uccisa? Mi convinsi di questo e cominciai a vedere la morte
come un passaggio normalissimo nella vita di un uomo, come invecchiare
o entrare nella pubertà. Mio padre non lo conobbi mai,
mi dissero tutti che era morto, ma secondo me era scappato con
un’altra donna; comunque crebbi con mia nonna, l’unica
mia parente, mi voleva bene e passai una splendida infanzia
con lei. Finita l’infanzia se ne andò anche lei;
mi dissero che il cuore aveva deciso di smettere e l’aveva
uccisa, penso che avesse un buon motivo, penso che meritasse
anche lei di morire. In ogni caso sono vissuto circondato dalla
morte, era il mio sogno ricorrente ed il mio interesse più
grande. Solo il mio ventunesimo anno, però capii chiaramente
che mi avevano sempre imbrogliato, tutte le persone che mi erano
state vicine, professori, tutori, assistenti sociali, compagni
di scuola, mi avevano fatto crescere cercando di convincermi
che la vita è “bella” e la morte è
“brutta”, riempiendomi la testa di cazzate sulla
gioia di vivere , la speranza, la felicità contrapposte
alla morte, alla cattiveria e alla tristezza; tanti miei coetanei
ci cascavano, si illudevano dell’esistenza di questa fantomatica
felicità, la cercavano speranzosi o si vantavano di averla
trovata. Io però vedevo la realtà, buia e gelida,
senza contorni o colori, senza bene e male, senza giustizia,
senza Dio, senza amore e senza senso; ero nato senza padre e
madre, l’unica persona a cui avevo voluto bene era morta
e tutto ciò era accaduto senza un motivo e senza un colpevole
se non io stesso. Passai mesi di notti insonni a scervellarmi
sul perché mi sentivo colpevole, da dove nasceva la mia
colpa e, finalmente, una torrida notte di agosto capii che siamo
tutti colpevoli: l’uomo é colpevole in quanto tale,
quanto può essere colpevole di esistere una creatura
infernale, l’uomo nasce cattivo, io stesso lo ero e ne
ero cosciente, certamente avrei potuto dire che siamo figli
di Satana, ma non ci credevo, pensavo che la realtà fosse
molto più banale; avevamo inventato il bene e il male
perché potessimo accettare l’opacità che
sta nel fondo di tutti i nostri cuori, per poter trovare un
colpevole contro il quale combattere, senza sapere che non facevamo
che combattere la nostra ombra. Acquisita questa consapevolezza
era come se fossi rinato, ora tutto aveva un “senso”,
dovevo solo accettare la mia natura che non poteva che essere
“cattiva”. Cominciai a praticare varie discipline
di combattimento e a curare molto la mia forma fisica, imparai
a sparare molto bene e mi rimisi a studiare chimica, fisica,
balistica e tutto ciò che mi sarebbe potuto tornare utile
nell’ uso di armi di ogni tipo: per una volta nella vita
tutto aveva un senso. Una notte mi aggiravo per un quartiere
non lontano da casa mia passeggiando e godendomi il silenzio
e la solitudine della notte. Facevo spesso questo genere di
passeggiate innanzitutto perché adoravo la città
solitaria di notte e poi perché avevo cominciato a guadagnarmi
qualcosa facendo qualche furto di macchina (e me la cavavo proprio
bene). Girai l’angolo e d entrai in un vicoletto, alle
mie spalle sentii uno scalpiccio, mi voltai e vidi tre ragazzi
che mi di avvicinavano. Quello in mezzo, un biondino con la
faccia da squalo, fece scattare la lama di un coltello che brillò
alla luce dei lampioni nella notte buia.
- Se ci dai tutto quello che hai non ti facciamo niente... -
Disse sorridendo. Gli altri due erano belli grossi ma sembravano
non proprio a loro agio. Sentivo un brivido lungo la schiena
ma non era paura, era piuttosto piacere: si , ero contento.
Forse era proprio quello che aspettavo, era finalmente arrivato
il momento di uccidere. Colpii il biondino in faccia con un
calcio e sentii i suoi denti scricchiolare e rompersi sotto
la mia suola, erano giovani balordi e non erano certamente abituati
a questo genere di reazioni; velocissimo sfoderai il coltello
e lo piantai nella trachea del secondo , il terzo mi colpì
maldestramente in faccia e il sapore del mio sangue in bocca
mi fece salire l’adrenalina e annebbiare la vista. Lo
colpii forte al volto e continuai urlando finche non smise di
respirare e quindi gli spezzai il collo, finii anche il biondino,
ripulii il mio pugnale e lo rinfoderai. Li ammazzai a mani nude,
ricordo che albeggiava e stavo in piedi di fronte ai tre cadaveri,
sporco del loro e del mio sangue, e stavo bene, mi sentivo libero
e onnipotente. Sono arrivato di fronte alla casa. Infilo i guanti,
carico la pistola, la metto nella fondina e controllo la strada:
silenzio, buio, un cane in lontananza, nessuno. Esco cauto dall’auto
e mi avvio tranquillo verso il vialetto di casa Campano. Sarà
un lavoro facile, devo fare la pelle ad uno srtonzo impiegato
di banca testimone in un processo per rapina. Tiro fuori i miei
attrezzi , metto fuori uso l’allarme e forzo la serratura.
La casa è buia e silenziosa, salgo le scale in silenzio
con l’arma in mano. Trovo subito la camera da letto dello
stronzo, entro. Russa come un porco incurante che la sua stronza
vita è finita, gli punto l’arma alla testa e...
Tunf! Lo stronzo crepa senza saperlo.
- Papà! -
Una vocina dolce chiama da un’altra stanza. Si accende
una luce nel corridoio e una testolina bionda fa capolino dallo
spiraglio della porta della camera. Mi giro e punto la Beretta
con silenziatore e mirino laser sulla fronte della testolina;
mi aspetto un urlo invece mi guarda innocente e rimane in silenzio
a fissarmi triste. I suoi occhi mi chiedono chi sono, cosa faccio
li e cosa ho fatto a suo padre, mi chiedono di non essere cattivo
e mi chiedono di andarmene. La guardo sorridendo il più
dolcemente possibile.
- Non ti preoccupare piccola sta solo dormendo, dormirà
per sempre ma non è niente di grave prima o poi dormono
tutti. -
Rimane in silenzio, entra nella stanza e si distende a fianco
di suo padre. Mi guarda e mi dice
- Voglio dormire anch’io... -
Esco in fretta dalla casa rinfoderando l’arma. Sono le
cinque presto sorgerà il sole, voglio tornare a casa
e fare colazione prima di andare a letto. Presto morirò
anch’io, non vedo l’ora.
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