FRANCESCO DANIELETTO/DANIELE CORTESE
UN ATOMO OPACO DI MALE



Soundtrack: Un Atomo Opaco di Male.mp3

Ho sempre amato la città della tarda notte, le strade silenziose e solitarie, i locali vuoti, il silenzio. Adoro la città di notte soprattutto perché non c’è tanta gente. Odio la gente, in particolare quando è tanta, per esempio la domenica pomeriggio nei centri commerciali o in centro; odio sentire il loro odore da deodorante e dopobarba, odio i loro abiti tutti uguali, odio i loro discorsi sempre banali. Odio la gente. Mentre guido la macchina lungo la via deserta, illuminata dalle insegne lampeggianti dei locali ancora aperti, immagino di essere il solo uomo sulla terra e l’idea non mi dispiace affatto. Ascolto Miles Davis in cassetta, ascolto sempre Jazz durante le sere di lavoro, si adatta perfettamente alla notte solitaria. La sua tromba mi culla dolcemente lungo la strada, facendomi sentire solo. Lavoro solo di notte e sono sempre solo: faccio il killer, uccido a pagamento. Non ho un codice etico o una regola morale fissa come altri miei colleghi; se per qualche motivo non voglio premere il grilletto, anche se sono pagato per farlo, non lo premo. Adesso posso permettermelo, perché sono un professionista, mi sono fatto un nome e in questo ambito è molto importante il nome. Nessuno dei miei mandanti mi conosce né mi ha mai visto, uso sempre intermediari fidati. Una volta però non era così, ho ucciso anche persone che non lo meritavano: così va il mondo. Sono convinto che la maggior parte di persone che conosco o vedo per strada meritino di morire; anch’io penso di meritarlo, dal momento che sono quello che la società definisce un cattivo, ma chi non lo è? Di notte sono un killer ma di giorno sono un borghese scapolo benestante, con la mia auto media, la mia casa media, la mia vita media. Tutte le mattine alle dieci e mezza faccio footing e esercizi ginnici; incontro i vicini di casa uscendo e li saluto cordialmente, chissà quanti di loro la notte fanno cose terribili, forse anche peggiori del sottoscritto. Il mio lavoro ha a che fare con la parte marcia delle persone che spesso sono le più “brave” e rispettabili della società; ho conosciuto gente negli ambienti malavitosi più malfamati che meritavano di morire molto meno di stimati avvocati o benefattori della società. Partendo dal concetto che la stragrande maggioranza di persone merita di morire, c’è chi lo merita più di altri; io non mi sento certo un giustiziere o roba del genere, io uccido per vivere e forse sono tra i peggiori bastardi che merita più di molti altri di morire, semplicemente penso di non fare un gran torto a nessuno, il mio è solo un lavoro come un altro. Questa notte ho scelto una golf nera: ogni notte di lavoro faccio un giro per i quartieri malfamati di questa città, cerco una macchina di qualche delinquente del cazzo, gliela rubo e faccio quello che devo. In questo modo anche se qualcuno vede una macchina allontanarsi dal luogo del delitto si risale sempre a tagliagole da strapazzo, con una fedina penale di chilometri e non si esita a sbatterli in gabbia e a buttare la chiave. Non mi sono mai esposto troppo, rischio sempre il minimo necessario e, per questo, non ho mai avuto problemi con gli sbirri; nel mio lavoro però non si vive solo di abilità si campa anche e soprattutto grazie alla fortuna e io ne ho sempre avuta tanta. E’ come se il mio ruolo nell’ordine naturale sia quello del predatore, ho sempre avuto questa impressione, fin da piccolo. A scuola andavo bene, me la cavavo soprattutto in matematica, scienze, fisica ecc... Tutti mi dicevano che sarei diventato qualcuno nella vita, che so: un grande scienziato, un medico, un chirurgo... E altre cazzate. A me non è mai fregato niente, solo una cosa avevo in mente: la morte. Mia madre era morta mettendomi al mondo, fu la mia prima vittima; mi convinsi all’età di undici anni che meritava di morire, non sapevo perché, ma doveva per forza meritarlo, altrimenti perché l’avevo uccisa? Mi convinsi di questo e cominciai a vedere la morte come un passaggio normalissimo nella vita di un uomo, come invecchiare o entrare nella pubertà. Mio padre non lo conobbi mai, mi dissero tutti che era morto, ma secondo me era scappato con un’altra donna; comunque crebbi con mia nonna, l’unica mia parente, mi voleva bene e passai una splendida infanzia con lei. Finita l’infanzia se ne andò anche lei; mi dissero che il cuore aveva deciso di smettere e l’aveva uccisa, penso che avesse un buon motivo, penso che meritasse anche lei di morire. In ogni caso sono vissuto circondato dalla morte, era il mio sogno ricorrente ed il mio interesse più grande. Solo il mio ventunesimo anno, però capii chiaramente che mi avevano sempre imbrogliato, tutte le persone che mi erano state vicine, professori, tutori, assistenti sociali, compagni di scuola, mi avevano fatto crescere cercando di convincermi che la vita è “bella” e la morte è “brutta”, riempiendomi la testa di cazzate sulla gioia di vivere , la speranza, la felicità contrapposte alla morte, alla cattiveria e alla tristezza; tanti miei coetanei ci cascavano, si illudevano dell’esistenza di questa fantomatica felicità, la cercavano speranzosi o si vantavano di averla trovata. Io però vedevo la realtà, buia e gelida, senza contorni o colori, senza bene e male, senza giustizia, senza Dio, senza amore e senza senso; ero nato senza padre e madre, l’unica persona a cui avevo voluto bene era morta e tutto ciò era accaduto senza un motivo e senza un colpevole se non io stesso. Passai mesi di notti insonni a scervellarmi sul perché mi sentivo colpevole, da dove nasceva la mia colpa e, finalmente, una torrida notte di agosto capii che siamo tutti colpevoli: l’uomo é colpevole in quanto tale, quanto può essere colpevole di esistere una creatura infernale, l’uomo nasce cattivo, io stesso lo ero e ne ero cosciente, certamente avrei potuto dire che siamo figli di Satana, ma non ci credevo, pensavo che la realtà fosse molto più banale; avevamo inventato il bene e il male perché potessimo accettare l’opacità che sta nel fondo di tutti i nostri cuori, per poter trovare un colpevole contro il quale combattere, senza sapere che non facevamo che combattere la nostra ombra. Acquisita questa consapevolezza era come se fossi rinato, ora tutto aveva un “senso”, dovevo solo accettare la mia natura che non poteva che essere “cattiva”. Cominciai a praticare varie discipline di combattimento e a curare molto la mia forma fisica, imparai a sparare molto bene e mi rimisi a studiare chimica, fisica, balistica e tutto ciò che mi sarebbe potuto tornare utile nell’ uso di armi di ogni tipo: per una volta nella vita tutto aveva un senso. Una notte mi aggiravo per un quartiere non lontano da casa mia passeggiando e godendomi il silenzio e la solitudine della notte. Facevo spesso questo genere di passeggiate innanzitutto perché adoravo la città solitaria di notte e poi perché avevo cominciato a guadagnarmi qualcosa facendo qualche furto di macchina (e me la cavavo proprio bene). Girai l’angolo e d entrai in un vicoletto, alle mie spalle sentii uno scalpiccio, mi voltai e vidi tre ragazzi che mi di avvicinavano. Quello in mezzo, un biondino con la faccia da squalo, fece scattare la lama di un coltello che brillò alla luce dei lampioni nella notte buia.
- Se ci dai tutto quello che hai non ti facciamo niente... -
Disse sorridendo. Gli altri due erano belli grossi ma sembravano non proprio a loro agio. Sentivo un brivido lungo la schiena ma non era paura, era piuttosto piacere: si , ero contento. Forse era proprio quello che aspettavo, era finalmente arrivato il momento di uccidere. Colpii il biondino in faccia con un calcio e sentii i suoi denti scricchiolare e rompersi sotto la mia suola, erano giovani balordi e non erano certamente abituati a questo genere di reazioni; velocissimo sfoderai il coltello e lo piantai nella trachea del secondo , il terzo mi colpì maldestramente in faccia e il sapore del mio sangue in bocca mi fece salire l’adrenalina e annebbiare la vista. Lo colpii forte al volto e continuai urlando finche non smise di respirare e quindi gli spezzai il collo, finii anche il biondino, ripulii il mio pugnale e lo rinfoderai. Li ammazzai a mani nude, ricordo che albeggiava e stavo in piedi di fronte ai tre cadaveri, sporco del loro e del mio sangue, e stavo bene, mi sentivo libero e onnipotente. Sono arrivato di fronte alla casa. Infilo i guanti, carico la pistola, la metto nella fondina e controllo la strada: silenzio, buio, un cane in lontananza, nessuno. Esco cauto dall’auto e mi avvio tranquillo verso il vialetto di casa Campano. Sarà un lavoro facile, devo fare la pelle ad uno srtonzo impiegato di banca testimone in un processo per rapina. Tiro fuori i miei attrezzi , metto fuori uso l’allarme e forzo la serratura. La casa è buia e silenziosa, salgo le scale in silenzio con l’arma in mano. Trovo subito la camera da letto dello stronzo, entro. Russa come un porco incurante che la sua stronza vita è finita, gli punto l’arma alla testa e... Tunf! Lo stronzo crepa senza saperlo.
- Papà! -
Una vocina dolce chiama da un’altra stanza. Si accende una luce nel corridoio e una testolina bionda fa capolino dallo spiraglio della porta della camera. Mi giro e punto la Beretta con silenziatore e mirino laser sulla fronte della testolina; mi aspetto un urlo invece mi guarda innocente e rimane in silenzio a fissarmi triste. I suoi occhi mi chiedono chi sono, cosa faccio li e cosa ho fatto a suo padre, mi chiedono di non essere cattivo e mi chiedono di andarmene. La guardo sorridendo il più dolcemente possibile.
- Non ti preoccupare piccola sta solo dormendo, dormirà per sempre ma non è niente di grave prima o poi dormono tutti. -
Rimane in silenzio, entra nella stanza e si distende a fianco di suo padre. Mi guarda e mi dice
- Voglio dormire anch’io... -
Esco in fretta dalla casa rinfoderando l’arma. Sono le cinque presto sorgerà il sole, voglio tornare a casa e fare colazione prima di andare a letto. Presto morirò anch’io, non vedo l’ora.




Music: www.tanderion.org/danielecortese
Words: lostferro@tiscali.it

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